DONNE, SOPRATTUTTO.
Ci sono donne la cui storia ci ha resi migliori. Donne che ci hanno regalato nuove esperienze, nuovi punti di vista.
Donne che hanno combattuto e lottato per raggiungere i propri sogni, alcune a costo della loro stessa vita.
Come loro, esistono migliaia e migliaia di donne che ogni giorno vivono per i loro sogni.
Sognare è probabilmente quella abilità che ci rende davvero umani, ed Il nostro augurio, oggi, è di non smettere mai di immaginare.
Ecco quindi tre storie di donne. Tre simboli di un percorso alla ricerca del proprio sogno, delle proprie potenzialità e della propria creatività.
La prima storia è quella di Sharon Christa Corrigan McAuliffe, nata a Boston nel 1948 e morta 38 anni dopo a Cape Caveral.
Nel 1984 accadde che il presidente Usa di allora, Ronad Regan, e la NASA, forti dei grandi successi raggiunti sul fronte dell’esplorazione spaziale, avviarono il “Teacher in space”.
L’idea era di spedire nello spazio un civile, non addestrato, a bordo dello shuttle.
Si voleva dimostrare che, ormai, lo spazio non era più una meta irragiungibile e lontana ma, al contrario, in breve tempo sarebbe diventato accessibile a chiunque.
Si decise di scegliere tra gli insegnanti, perché avrebbe ricordato a tutti il ruolo fondamentale di queste figure nella struttura cultura e sociale di un paese.
Christa Corrigan all’epoca era un’insegnante brillante ed appassionata. Insegnava Storia, Legge ed Economia, oltre a tenere lezioni di un corso da lei ideato sulla Donna Americana.
E la sua passione per le nuove esperienze la portò a candidarsi per il programma Teacher in space . Una degli oltre 11.000 candidati.
La sua determinazione ed il suo entusiasmo la portarono ad avere un grande supporto popolare nel suo stato, il New Hampshire, che infine la nominò sua finalista territoriale.
Quello fu il primo passo decisivo, e il 1 giugno 1985, arrivò l’annuncio che Christa era tra i 10 finalisti. L’ultima selezione, quella decisiva, sarebbe stata affidata ai medici, psicologi e tecnici del centro spaziale NASA.
Il 19 giugno il vicepresidente George H. W. Bush, annunciò che la persona idonea alla missione era proprio Christa. Uno degli esaminatori dichiarò che lei possedeva un grande “entusiasmo contagioso”, e quello fu un elemento determinante nella scelta.
Dopo questo annuncio la popolarità di Christa crebbe esponenzialmente.
In attesa del lancio, fu ospite di numerosi programmi televisivi, ed il “Teacher in space” ebbe molto interesse da parte del pubblico, che iniziò sempre di più ad affezionarsi allo spirito entusiasta e sognatore di questa insegnante che stava per vivere una esperienza straordinaria.
Una volta nello spazio, avrebbe dovuto tenere due lezioni: “The Ultimate Field Trip”, un tour del veicolo spaziale, e “Where We’ve Been, Where We’re Going, Why”, sui benefici dell’esplorazione spaziale.
Queste due lezioni, che si prospettavano storiche, sarebbero state seguite in diretta milioni di studenti, attraverso un canale speciale a cui avrebbero avuto accesso le scuole degli USA.
Il sogno di inviare una donna comune dello spazio, e quello personale di Christa, di una incredibile esperienza che avrebbe poi trasmesso ai suoi studenti, sembrava sul punto di realizzarsi.
Tuttavia le cose andarono diversamente, e la storia di Christa si legò indissolubilmente con quella di uno dei peggiori disastri nella storia dell’esplorazione spaziale.
Infatti per una serie di errori costruttivi sui quali non vennero mai accertate con chiarezza le responsabilità, a causa di una banale guarnizione di gomma di uno dei serbatoi, il 28 gennaio 1986 lo shuttle Challenger, che portava a bordo Christa ed altri 6 membri dell’equipaggio STS-51-L, esplose in volo, dopo appena 72 secondi dalla partenza, sotto gli occhi sgomenti di migliaia di persone di tutto il mondo, tra cui gli studenti, il marito ed i figli di Christa.
L’incidente ebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica, scolpendo per sempre il nome di Christa nel cuore degli americani. Il nome di una donna che per amore di conoscenza, di avventura e per il desiderio di trasmettere tutto questo agli altri ha rischiato, e perso, la sua vita.
La seconda storia è di Aimee Mullins, un’atleta, attrice e modella statunitense.
Affascinante, famosa, dalle grandi prestazioni atletiche, considerata dalla rivista People una delle 50 persone più belle al mondo.
E fin qui (quasi) tutto normale, se non fosse che Aimee, all’età di 1 anno, venne amputata di entrambe le gambe.
La storia di Aimee è una grande storia di forza interiore e spirito di volontà.
Nata senza l’osso perone, e da qui la necessità dell’amputazione, ha da sempre fatto della sua invalidità una opportunità.
Ha studiato, si è laureata, ha sviluppato un pensiero personale di concetto di corpo, bellezza ed eguaglianza.
Vanta una grande “collezione” di protesi, di cui è orgogliosa, che vanno da quelle per uso sportivo (con le quali ha conquistato diversi record nelle Paraolimpiadi) fino a bellissime gambe di legno intagliate a mano usate per una sfilata di Alexander McQueen.
Approfondite la sua storia (tralaltro c’è un interessante su ciclo di conferenze al TED, che potete vedere qui), perché ci dimostra che, forse, nella vita non conta tanto il punto di partenza, e che ogni evento può trasformarsi in una grande opportunità, se affrontato dal giusto punto di vista.
La terza storia, infine, parla di una giovane donna nata da una famiglia di aristocratici napoletani, discendenti della Famiglia medici, Elsa Schiaparelli.
Famiglia di famosi intellettuali: Il padre fu direttore dell’Accademia dei Lincei su nomina di Re Vittorio Emanuele II, il nonno era un astronomo, quel Schiaparelli famosissimo per i suoi studi su Marte e dal quale nacque l’idea che sul pianeta Rosso potesse esserci vita (il concetto di “marziano” nacque dunque da lui), ed infine lo zio, archeologo e per molti anni direttore del museo egizio di Torino.
Ma Elsa voleva fare l’attrice.
Chiaramente si trattava di una carriera inaccetabile, per una donna aristocratica come lei, per la quale la famiglia pensava ad un futuro ben diverso. Dunque le venne impedito.
Tuttavia il suo amore per l’arte la portò a pubblicare, a 21 anni, una raccolta di poesie che ebbe un discreto successo, sia in Italia che all’estero.
Paradossalmente (ma non tanto per gli anni e per l’estrazione sociale) la famiglia non prese molto bene la pubblicazione di questo libro e mandarono Elsa in un convento in Svizzera.
Dopo qualche anno si trasferì a Londra, dove conobbe quello che sarebbe diventato suo marito ed il padre della sua bambina.
Ma di lì a poco il matrimonio fallì, lasciando Elsa e la figlia sole.
Quando il marito morì, Elsa si spostò a Parigi a causa delle condizioni di salute di sua figlia che nel frattempo si era ammalata di poliomelite, e venne ospitata nella casa di Gaby Picabia, che era la moglie dell’artista dadaista francese Francis Picabia.
Fu proprio in quel periodo che Elsa entrò in contato con l’habitat artistico di cui aveva bisogno e che la lasciò finalmente libera di esprimersi in tutto il suo talento, e il campo artistico che scelse fu la moda.
L’ispirazione la ebbe vedendo una rifugiata armena che realizzava una maglia. Da quel momento iniziò il sodalizio creativo tra queste due donne, che realizzarono collezioni sportive, vivaci, colorate, di ispirazione africana e cubista, coinvolgendo nelle loro opere artisti del calibro di Duchamp.
Elsa è considerata una antagonista di Coco Chanel, ed una innovatrice e visionaria della moda (nota, tralaltro, per aver reso popolare il “Rosa Shocking”).
Nata in condizioni “sfavoreli” per quello che era il suo sogno, con coraggio e determinazione ha trovato la sua maniera per esprimersi, lasciano un marchio indelebile nella storia della creatività.
Queste erano le tre storie di donne eccezionali. Ma come loro ce ne sono state tante e tante altre ce ne saranno in futuro.
Ed a loro vanno i nostri auguri di 8 marzo.